"Ci portiamo un telone che serva da tenda, due padelle, un chilo di sale e qualche forma di pane, due canne da pesca e due libri:io qualcosa su Platone, lui un libro dello scrittore francese Octave Mirbeau, Il giardino dei supplizi, dedicato ai "Preti, ai Soldati, ai Giudici, a tutti coloro che educano, istruiscono e governano gli uomini", zeppo di descrizioni raccappriccianti di torture cinesi."
Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap III PAG. 29
Il giardino dei supplizi (Le Jardin des supplices) è un romanzo dello scrittore francese Octave Mirbeau pubblicato nel 1899, durante l'affare Dreyfus.
Il carattere combattivo e polemico di Mirbeau, lo spinge verso il giornalismo, occupandosi di teatro e arrivando alle pagine del prestigioso “Le Figaro”. In seguito ad un suo articolo polemico, contro gli artisti drammatici, abbandona il giornale, e da questo momento inizierà una sorta di nomadismo intellettuale che lo porterà alla stesura di opere teatrali, romanzi, pamphlet, fondando anche un settimanale satirico e a condividere tutte le esperienze culturali più avanzate dell’epoca.
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Auguste Rodin, Il giardino dei supplizi,
60 x 80 cm, Serigrafia |
Il libro racconta la storia di un viaggio in Cina fatto da un personaggio che preferisce restare anonimo, causa il male che dice di avere fatto a sé e agli altri, un viaggio nell’inferno più nauseante dei desideri umani, dove la bellezza assume i tratti del dolore che porta lentamente alla morte, della morte stessa, dell’agonia, non più vista secondo la sua potenzialità catartica o catalizzatrice, ma nella sua pura e terribile essenza di presenza infinita, di ciclicità delle ere all’interno di una logica della crudeltà universale assolutamente gratuita.
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Auguste Rodin, Il giardino dei supplizi,
60 x 80 cm, Serigrafia |
Ad accompagnare il nostro anonimo personaggio, nella sua discesa negli inferi della prigione che ospita il Giardino dei Supplizi, c’è Clara, sorta di anti-Virgilio che svela la sensualità della crudeltà umana, fino a mettere in dubbio, per sublimarlo in un’estasi oltre ogni decadenza e decenza possibile, il significato stesso di “umano/a”.E’ la rottura del codice chiamato “linguaggio”, della “parola”, la fine di ogni comunicazione immaginabile e che, lasciata in balia di una sensualità che si nutre di solo sangue, vivi-seziona l’umano per renderlo fonte di infinita sofferenza e quindi oggetto che disseta, che infinitamente disseta una sete infinita, per questo non comunicabile.
Non è la morte che disseta, ma l’agonia, l’attesa della morte che diventa accumulazione di energia sessuale, il senso di dolore eterno che emana dai corpi segregati per mesi in anguste celle a dimensione umana, paradossalmente umana. Il dolore deve essere eterno, deve tendere all’infinito perché non è la morte che la dolce Clara cerca, ma il sangue che continuamente sgorga dal corpo lacerato dell’uomo.
Questo romanzo è una "mostruosità letteraria" affascinante, dove le scene erotico-sadiche di supplizi-delizi si mescolano alle descrizioni esuberanti di fiori, ad argomentazioni politico-filosofiche e a uno stupendo esercizio d'umorismo nero. Mirbeau denuncia l'inferno delle società, occidentali ed orientali, che schiacciano i poveri e sono fondate sull'assassinio. Ma il giardino dei supplizi simboleggia anche l'inferno della condizione degli uomini, che sono tutti condannati alla sofferenza ed alla morte, ed illustra il ciclo vitale della vita che non può avere fine.
Gabriele Mucchi
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IL RITORNO DEL PESCATORE
matita e acquerello su carta, cm 40x55,8
firmato e datato 1959, G Mucchi |
Ragazzo del ’99, visse in tre secoli. Architetto nel nuovo stile razionalista, disegnatore di mobili moderni, fu affascinato dalla pittura. Dedicò opere alla Resistenza e alla lotta sociale, ma dipinse anche nudi e nature morte. Artista in solitudine, grande pittore realista e intellettuale di sinistra, libero da schemi. I suoi quadri, sempre caratterizzati da una forte componente realistica, sono ricchi di rimandi autobiografici e storici, ma anche di scene più anonime di vita quotidiana, per il desiderio dell'autore di essere completamente partecipe e testimone della realtà del suo tempo.
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chaise longue Genny, con struttura in tubo
d’acciaio cromato lucido.
Imbottitura in espanso e rivestimento
in pelle non sfoderabile, 1935, G. Mucchi
per Zanotta |
Appassionato già molto tempo prima di disegni futuristici, opera come pittore dal '27 al '34 a Milano, Berlino e Parigi dove conosce e frequenta De Chirico e De Pisis.
Collabora con architetti "razionalisti" del momento progettando una serie di mobili tra cui la famosa Chaise longue Genny in metallo cromato e in pelle, produzione Zanotta.
Link riferimento testo http://www.facebook.com/topic.php?uid=51744350937&topic=9059
http://www.capitalarredamenti.it/zzArchitetti_Mucchi_G.html
http://www.artestoria.com/artisti/mucchi.htm
Link riferimento immagini
http://www.archiproducts.com/it/prodotti/16948/chaise-longue-genni-zanotta.html
http://www.arcadja.com/auctions/it/mucchi_gabriele/prezzi-opere/11668/
"Finalmente arriva il gran giorno e m'iscrivo al corso di pittura, tenuto da Aldo Carpi, che m' impartisce le prime indicazioni tecniche su come stendere la tela su telaio, preparla e così via. Dopo un mese, mi consiglia di cambiare corso, perchè continuo a fare domande e non mi accontento mai delle risposte."
Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap III PAG. 24
Aldo Carpi
Aldo Carpi (1886-1973) fu uno dei massimi artisti del Novecento lombardo e per anni diresse addirittura la prestigiosa Accademia di Brera.
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Aldo Carpi - ritratto di G.L.Banfi a Gusen |
Prima di essere un pittore, Aldo Carpi fu un soldato; e proprio dalla triste esperienza della guerra del '15-'18, sul fronte serbo, trasse ispirazione per le sue toccanti opere. Così come fece durante la seconda guerra mondiale, di cui fu involontario protagonista, essendo deportato in un campo di concentramento, a Mauthausen, poi a Gusen.
Per Carpi il disegno - e quindi l'arte - fu direttamente legato alla propria esperienza personale. Nel volume "Serba Eroica", Carpi pubblicò i disegni che realizzava direttamente al fronte. Ancora più toccanti le scene dal campo di Gusen “schizzate” a memoria da Carpi per lo più dopo la sua liberazione, ma in qualche caso disegnate anche in loco. E a colpirci sono non solo la magrezza dei deportati o i loro occhi pieni di morte, ma anche i ritratti di Dante, Verdi, Wagner, Beethoven fatti dal pittore-prigioniero per sentirsi vivo, per fare emergere un barlume della sua identità umana e culturale. Carpi, che era riuscito a preparare dei colori, lavorò sistematicamente come un dannato. In un anno di lager dipinse, a tempera o a olio, 74 quadri: il capitano medico, fiori, donne e rose, il figlio del capitano, la donna velata, la donna del sergente, l'ex ergastolano, la bionda del lago di Como, il figlio del dottor Kaminski, il padre del dottor Kaminski, il monte Rosa, madre e bimbo in montagna, ragazza morta durante un bombardamento, nudino veneziano". Ma solo dopo, al ritorno, potrà dipingere le scene strazianti del campo della morte, indimenticabili nel loro orrore.
Link riferimento testo http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=carpi_dannunzio
http://www.deportati.it/recensioni/diario_di_gusen.html